Dante Alighieri, la Divina Foresta
Paradiso Canto I
Lettura, interpretazione ed analisi di Rino Mele
Il Paradiso inizia secondo un ritmo glorioso, ascensionale. Dante si stacca dalla terra in cui è infisso l'Inferno e da cui svetta altissimo il monte del Purgatorio: prevale l'elemento musicale e l'approssimarsi dell'immersione mistica spinge il suono dei versi oltre un inaspettato confine:
La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu' io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sú discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Dante sta per uscire da se stesso, frastornato e felice.
Come farà a scrivere ciò che ha visto e di cui ricorda solo l'ombra, ma anche quell'ombra lucente è troppo ardua per la sua scrittura. Allora, chiede aiuto al dio della poesia, Apollo, un dio pagano, e sembra un paradosso, ma è un modo per chiedere a Dio di aiutarlo, di permettergli di essere interprete - con la forza della poesia - della luce accecante del Paradiso. E infatti, chiama Apollo, al verso 22: "O divina virtú". Beatrice gli è di fronte, guarda il sole (cioè Dio) con maggior forza penetrante di quanto possa un'aquila, Dante segue i suoi movimenti, guarda anch'egli nel sole: e gli pare che il sole si raddoppi, e così la sua luce.
Quando torna a guardare Beatrice subisce la più ardita metamorfosi, conosce l'estatico "trasumanare", cittadino del regno santo di Dio.